Il Prof. Marco Valgimigli ha presentato al congresso ESC – e sul New England Journal of Medicine – i risultati di uno studio che definisce un nuovo “standard of care” e presto offrirà la base scientifica di nuove linee guida internazionali nella gestione della terapia antiaggregante dopo posa di stent in pazienti ad alto rischio di sanguinamento.
Il trial ((MAnagement of high bleeding risk patients post bioresorbable polymer coated STEnt implantation with an abbReviated versus prolonged DAPT regimen – MASTER DAPT) è stato disegnato anni fa dal Prof. Valgimigli in collaborazione con altri accademici ed è stato finanziato da un istituto “non for profit” con sede in Olanda. 140 i centri coinvolti – in Europa, Asia, Sud America e Australia – circa 4500 i pazienti: in effetti lo studio più vasto mai condotto su questo argomento.
Lo studio si è focalizzato su una particolare popolazione di pazienti, soggetti che necessitano di angioplastica coronarica con impianto di stent e che tuttavia risultano portatori di uno o più fattori di rischio per sanguinamento. Fino a circa un anno fa, a questi pazienti veniva prescritta l’assunzione di un duplice antiaggregante per almeno un anno; poi una serie di studi ha mostrato come il rischio marcato di sanguinamento che la terapia comporta, a fronte dei piccoli benefici sull’efficacia, ne raccomandasse una durata più ridotta. Oggi – o meglio fino alla presentazione dei risultati del nostro studio – le linee guida fissano in un periodo di 3-6 mesi l’orizzonte temporale della terapia.
Lo studio Master-DAPT si è spinto oltre, comparando quanto previsto dalle linee guida internazionali verso una durata limitata a un solo mese, e dimostrando che in quest’ultimo caso non ci sono penalità da un punto di vista dell’efficacia, ma al contempo c’è una riduzione del rischio di sanguinamenti.
“Siamo passati in pochissimo tempo – osserva il Prof. Valgimigli – da una situazione in cui si diceva al paziente che avrebbe dovuto assumere per un lungo o lunghissimo periodo una terapia che impattava in modo serio sulla sua qualità di vita (oltre agli effetti collaterali, la terapia antiaggregante aumenta la complessità e il rischio in caso di interventi chirurgici) a una prospettiva decisamente più gestibile e che il paziente può affrontare con molta più serenità. Un passo importante”.