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Domande frequenti dei pazienti

Un intervento Cardiochirurgico ci pone spesso davanti ad una serie di domande. Qui troverà alcune risposte e potrà formularci le sue domande.

Domande frequenti dei pazienti

Le spiegazioni che seguono si basano sull’esperienza e affrontano le principali domande poste dai pazienti e dai loro famigliari durante i colloqui che di norma precedono e seguono l’operazione chirurgica.

Se non dovesse trovare risposte adeguate ai suoi dubbi, se volesse sentire una seconda opinione o magari un consiglio, non esiti a contattarci utilizzando il form nella pagina.

Non ho alcun disturbo ma mi viene detto che devo comunque essere operato. Perché?

È una domanda che viene posta spesso e in effetti non è facile accettare di dover subire un intervento senza avere la percezione di non stare bene.
Tuttavia ci sono due validi motivi per cui a un paziente viene consigliato di farsi operare anche in assenza di (chiari) disturbi:

il primo è la scoperta di un reperto che può diventare minaccioso per il cuore e per la vita. Lo paragoni alla constatazione che i freni della sua vettura non funzionano più: di sicuro li vorrebbe riparare prima di doverli usare e appurare che non frenano davvero.

Il secondo motivo è la conoscenza del decorso naturale di talune malattie cardiache.
Grazie ai vari esami si possono oggi riconoscere precocemente i disturbi di funzionalità, prima che questi provochino un problema serio. Quando certi criteri sono raggiunti, si sa che un intervento precoce – ovvero quando il muscolo cardiaco funziona ancora bene – dà dei risultati migliori. Più a lungo si aspetta, più il muscolo cardiaco si affatica. In tal caso l’esito dell’operazione sarebbe meno buono (e a seconda del problema potrebbe comportare anche più rischi), perché il muscolo cardiaco è già indebolito.

Devo essere operato al cuore. Quanto dovrò stare in ospedale?

In genere la degenza in reparto varia dai 6 ai 10 giorni, ma in caso di problemi o complicazioni può essere necessario prolungare la degenza.
Ognuno reagisce in modo diverso a un’operazione, e noi medici dobbiamo rispettare i tempi di ogni singolo paziente e adattare la dimissione alle specificità di ogni singolo caso.

Quanto dura un’operazione al cuore?

Dipende da diversi fattori: per esempio dal tipo di operazione o se si tratta di un primo o di un secondo intervento al cuore. Una prima operazione dura circa tre ore, ma può durare anche di più in caso di interventi complessi.

Tre ore sono comunque in genere il lasso di tempo necessario al cardiochirurgo per eseguire tecnicamente l’operazione.
In più c’è il tempo impiegato per la preparazione e l’induzione dell’anestesia, e c’è la stabilizzazione del paziente per il trasferimento in cure intensive.

In media passano 5-6 ore dal momento in cui il paziente lascia la sua camera in reparto fino al ricovero in cure intensive dopo l’operazione.

Dopo quanto tempo mi risveglio?

In genere dopo 2-3 ore dall’arrivo in cure intensive.
A volte è necessario prolungare il sonno artificialmente: in tal caso i suoi cari ne verrebbero prontamente informati.

Dopo l’operazione torno nella mia stanza?

Non subito.
Dopo un’operazione al cuore si rende necessaria una sorveglianza accurata e continua in cure intensive.
Rimarrà in cure intensive fino a quando il medico responsabile giudicherà il decorso postoperatorio sicuro ed escluderà l’insorgere di complicanze maggiori.
A quel punto potrà tornare in reparto.
Non è detto che potrà tornare nella medesima stanza occupata prima dell’intervento, perché quella stanza potrebbe essere stata occupata durante la sua degenza in cure intensive.
I suoi effetti personali saranno comunque sempre al sicuro.

Un mio conoscente aveva sintomi simili ai miei: mancanza di fiato, oppressione dietro lo sterno durante uno sforzo. È stato curato al momento dell’esame con una coronarografia con il palloncino e il giorno dopo è tornato a casa. Perché per me questo non è possibile? Perché io devo sottopormi a un’operazione a cuore aperto?

I motivi possono essere diversi.
Può essere che le sue coronarie mostrino più restringimenti, o un’unica lesione proprio dove un intervento con il palloncino non darebbe un buon risultato o sarebbe troppo rischioso.

Può anche essere che, nonostante i disturbi siano simili a quelli del suo conoscente, lei abbia un’altra malattia al cuore, che non può essere curata con un intervento nel laboratorio di cateterismo.

È cominciato tutto con dolori allo stomaco. Dopo varie indagini sembra invece che il problema sia cardiaco. Com’è possibile?

Questo è dovuto alla localizzazione del cuore all’interno della gabbia toracica.
Un insufficiente apporto di sangue alla parte posteriore e inferiore del cuore può provocare dolori nella zona dello stomaco.

Le sarà di più facile comprensione se chiederà al suo cardiochirurgo di spiegarglielo con l’aiuto di uno schizzo o di un modello.

Mio marito dovrebbe essere operato prossimamente. Ha spesso un’oppressione al petto, non dovrebbe esser operato subito? Cosa posso fare io?

Contatti il suo cardiologo o il suo cardiochirurgo: sapranno consigliarla al meglio sulla strategia da adottare.
Spesso si riesce a modificare un po’ la terapia medicamentosa. I due medici discuteranno insieme la situazione.
A volte è effettivamente buona cosa anticipare l’intervento, ma non si può dare una risposta unica che vale per tutti.

La situazione individuale del singolo paziente va analizzata con cura.

La macchina cuore-polmone viene utilizzata per tutti gli interventi al cuore?

La macchina cuore-polmone è in effetti, per la maggior parte delle operazioni a cuore aperto, l’assoluta premessa, senza la quale l’operazione non sarebbe realizzabile.
Per l’operazione più frequente in cardiochirurgia, ossia il bypass aorto-coronarico, esiste tuttavia anche la possibilità di intervenire senza la macchina cuore-polmone.

Cos’è la macchina cuore-polmone? Nuoce al paziente?

La macchina cuore-polmone è un’apparecchiatura tecnicamente molto complessa, in grado di assumere le funzioni del cuore e dei polmoni, ed è concepita proprio per coprire per breve tempo le esigenze del corpo durante un’operazione al cuore.

L’utilizzo della macchina cuore-polmone non è di per sé nociva, ma come tutte le manipolazioni invasive comporta dei rischi.

In genere il corpo reagisce bene, riportando come unica conseguenza una ritenzione idrica da parte dei tessuti, che fa apparire il corpo gonfio. Il parametro principale per valutare il potenziale nocivo della macchina cuore-polmone è lo stato generale di salute del paziente.

Più l’organismo è affaticato, maggiori sono i rischi legati all’impiego della macchina cuore-polmone.

Ho sentito che oggigiorno si può operare il cuore senza l’impiego della macchina cuore-polmone. È vero? Com’è possibile?

Sì, è vero.
La tecnica riguarda soprattutto gli interventi di bypass aorto-coronarico.

La zona sulla quale deve essere applicato il bypass viene fissata per mezzo di uno strumento chiamato stabilizzatore, mentre il cuore continua a battere. In questo modo la parte interessata rimane ferma, consentendo al chirurgo di collegare il bypass all’arteria coronaria.

Anche alcune operazioni alle valvole possono essere eseguite senza fermare il cuore; in questo caso le valvole sono montate su cateteri che vengono introdotti nel cuore.

Durante l’operazione il cuore viene estratto dal corpo?

No, il cuore rimane nella cavità toracica.

Tutti gli interventi convenzionali si eseguono così.

Solo in casi estremi e rarissimi il cuore può essere tolto dalla sua sede per eseguire l’operazione.

Ho sentito che il cuore durante l’operazione viene messo a riposo. Cosa succede? Ricomincia poi a battere? E se non dovesse riprendere?

Sì, è vero.

Quando il paziente è collegato alla macchina cuore-polmone, si interrompe la perfusione del cuore tramite l’occlusione dell’aorta (grazie ad una pinza particolare). Contemporaneamente il muscolo cardiaco viene raffreddato, nutrito e protetto (in modo da aumentare la tolleranza alla mancanza di sangue) infondendo una soluzione speciale.

Quando non è più necessario che il cuore stia fermo, viene levata la pinza dall’aorta, il cuore viene di nuovo irrorato di sangue e riprende a battere. A volte riprende a battere in modo scoordinato; in questo caso un piccolo choc elettrico può convertire il battito scoordinato in uno coordinato. La domanda fondamentale, tuttavia, non è se il cuore riprende a battere, ma con quanta forza. Lo stato di partenza è in questo caso un parametro molto importante.

A volte è necessario somministrare dei farmaci che aumentano la forza del cuore a contrarsi. In alcuni casi è addirittura necessario ricorrere a sostegni meccanici, per esempio utilizzando il pallone intra-aortico. Si tratta di un palloncino introdotto nel cuore dall’inguine attraverso un catetere: il gonfiarsi e sgonfiarsi del palloncino è coordinato con il battito cardiaco e aiuta a sostenere il cuore.

Con gli attuali moderni sistemi di sorveglianza (specialmente l’ecocardiografia), si può regolare la terapia a perfezione, riducendo drasticamente i casi di difficoltà insormontabile.

Cosa significa intervento mini-invasivo? Tutti i pazienti possono essere operati così?

Mini-invasivo significa che durante l’operazione l’integrità del corpo viene lesa al minimo. In cardiochirurgia è possibile raggiungere tale obiettivo in diversi modi: incisioni cutanee ridotte e/o la rinuncia ad usare la macchina cuore-polmone. Bisogna sempre ben considerare che si tratta di modi di operare innovativi.
Questo significa, nel concreto, che:

1. non sono tecniche adatte a qualsiasi paziente;

2. durante l’operazione può porsi la necessità di convertire l’intervento in tecnica tradizionale;

3. sia il cardiochirurgo che il paziente non devono perder di vista l’obiettivo principale, ossia quello di risolvere il problema in modo sicuro ed efficace.

Mia moglie dev’essere operata al cuore. Quanto è grave la sua situazione? Devo pensare al peggio?

Oggigiorno gli interventi al cuore appartengono alla routine, ma questo non significa che sono privi di rischi. Anche volare, per fare un paragone, è oggi un’attività di routine, ma con rischi evidenti.

Per certo la mortalità nei casi di operazione al cuore è minima. Qualche dato concreto: la mortalità in caso di bypass si situa tra il 0,5 e il 2%; in caso di intervento alla valvola è tra lo 0.5 e il 5%.

Decisivo è comunque lo stato di salute generale del paziente, sia nella determinazione del rischio legato all’intervento, sia per le complicazioni possibili dopo l’operazione.

Quanti specialisti sono coinvolti durante l’operazione?

Tanti!
Per il team chirurgico sono coinvolti l’operatore, un primo assistente ed eventualmente anche un secondo.

Il chirurgo viene assistito da un’infermiera strumentista, che a sua volta viene aiutata da un’altra infermiera, detta circolante. La responsabilità per il corretto impiego e funzionamento della macchina cuore-polmone è del cardiotecnico, detto anche perfusionista, che collabora e comunica in continuazione sia con il chirurgo operatore che con l’anestesista.

L’équipe anestesiologica è rappresentata da un anestesista cardiaco responsabile, un suo assistente e un’infermiera anestesista. In alcuni casi è presente in sala operatoria anche il cardiologo per discutere alcune particolarità dell’intervento.

L’operazione in sé non mi preoccupa tanto. Ho solo una gran paura di non svegliarmi dopo l’anestesia.

Le procedure anestesiologiche e la sorveglianza delle stesse sono così ben sviluppate, che oggigiorno si verificano raramente situazioni critiche estreme.

Ci possono comunque essere motivi per i quali un paziente non si risveglia, ma questi sono più legati all’operazione che all’anestesia.

La causa principale potrebbe essere un ictus cerebri. Il suo cardiochirurgo gliene parlerà di sicuro al colloquio pre-operatorio.

Certe operazioni al cuore possono essere eseguite in anestesia locale? Mi pare di aver letto qualcosa in merito su una rivista.

Se per operazione al cuore intende l’impianto di un pace-maker la risposta è sì, questo intervento può essere eseguito in anestesia locale.

Tutte le altre operazioni che comportano l’apertura della gabbia toracica richiedono un’anestesia totale.

Ci sono pochi, rari rapporti che descrivono interventi a cuore battente con il paziente sveglio in anestesia parziale, ma che si tratti di un effettivo progresso deve esser ancora dimostrato.

Ci è stato detto che il paziente dopo l’operazione viene mantenuto ancora per parecchie ore in coma artificiale. È vero? E se sì, perché?

In genere, terminata l’operazione il paziente viene trasferito in cure intensive ancora sotto anestesia.

Lì viene svegliato nel giro di poche ore e a quel punto il tubo endotracheale può esser rimosso.

A volte la fase di risveglio, ovvero la fase finale della narcosi, deve essere un po’ prolungata (p. es. quando il circolo dev’essere ancora stabilizzato o dev’essere indirizzato per la giusta via).

A volte è possibile anche svegliare un paziente immediatamente al termine dell’intervento. Quale strategia adottare dipende dal profilo di rischio del paziente stesso, dalla gravità dell’operazione e dalla reazione individuale del paziente.

Anni fa sono già stato operato, ma non al cuore. Ho ricordi terribili di quando mi sono svegliato dopo l’anestesia. Nausea e dolori: sarà così anche questa volta, dopo un’operazione al cuore?

L’anestesia moderna ha fatto passi da gigante; con le tecniche e i farmaci attuali questo tipo di disturbi è ridotto al minimo.

Normalmente è previsto un colloquio con gli anestesisti già durante il colloquio preoperatorio, dove potrà esporre tutte le sue preoccupazioni.

In previsione dell’operazione mi è stato richiesto di sottopormi a diversi esami. Quali sono esattamente? Perché vanno fatti?

Qualsiasi operazione al cuore è un carico importante per tutto l’organismo. L’obiettivo degli esami preoperatori è di cogliere al massimo le riserve del paziente e riconoscere potenziali fattori di rischio. In questo modo si può adattare al meglio la strategia operatoria al suo stato di salute e ridurre il rischio di complicazioni.

Di regola gli esami comprendono un esame clinico approfondito, un prelievo di sangue e un’ecografia dei vasi del collo (doppler carotideo). A seconda della sua diagnosi e della sua anamnesi potrebbe venirle consigliata un’ecocardiografia e/o una TAC della gabbia toracica e dell’addome.

Potrebbero rendersi necessari anche altri esami. Si ricordi: qualsiasi ulteriore informazione aiuta a ridurre il rischio operatorio. Il suo chirurgo è ben disposto a rispondere alle sue domande riguardanti l’indicazione di ogni esame: non esiti, chieda!

Sono già stato operato al cuore in passato, e adesso devo fare un’altra operazione. Allora non ho dovuto fare prima così tanti esami, perché ora sì? Sono davvero necessari?

Dal punto di vista puramente tecnico una seconda operazione è più complessa della prima. Il motivo sono le aderenze tra il cuore e i tessuti adiacenti, che, nel caso di re-intervento, devono essere separati minuziosamente prima di raggiungere il cuore.

A volte si può optare per una via d’accesso differente da quella scelta per la prima operazione, in modo da aggirare l’ostacolo delle aderenze. Tramite i vari esami, il chirurgo cerca di farsi un quadro di come potrebbero presentarsi le strutture anatomiche, in tale modo un secondo intervento può essere pianificato e preparato al meglio.

Perché devono essere controllati i vasi del collo (carotidi)?

Durante l’operazione possono avvenire importanti variazione della pressione e del modo con cui il sangue fluisce nel corpo.
Un importante stenosi a livello dei vasi del collo (carotidi) che portano il sangue al cervello potrebbe causare un apporto insufficiente di sangue al cervello e provocare quindi un ictus.
Per questo motivo è importante accertarsi se tali restringimenti esistono. Dovessero essere presenti, si valuta accuratamente come procedere.
Le opzioni e i criteri di decisione sono troppo complessi e individuali per definire una strategia valevole in generale e per esser esposti qui. La miglior cosa da fare è quella di chiedere al chirurgo!

Qual è il rischio di un’operazione al cuore?

A questa domanda non si può dare una risposta generale. Si può dire però con certezza che il rischio di un’operazione al cuore è oggi nettamente inferiore a quello che era 15-20 anni fa. Il rischio dipende da diversi fattori, i più importanti dei quali sono:

  • il tipo e la gravità della malattia cardiaca
  • l’urgenza dell’operazione
  • l’età del paziente
  • altre malattie associate e le loro conseguenze (quali importanti esempi il diabete e le sue conseguenze, arteriosclerosi generalizzata e le sue conseguenze)

Generalizzando (e non tenendo conto dei fattori di rischio individuali di un paziente), la mortalità negli interventi al cuore (ovvero la percentuale di possibilità che il paziente non sopravviva all’operazione e/o ai trattamenti immediatamente successivi) si situa al di sotto del 5%.

Il diabete comporta un rischio molto elevato per un intervento al cuore?

Molto elevato no, ma rimane un fattore di rischio.

La maggior parte dei pazienti che deve subire un’operazione al cuore soffre di diabete, ma a definire il rischio sono soprattutto le conseguenze secondarie di questa malattia.

I pazienti con diabete a volte possono non avvertire dolori al cuore, per cui non si sottopongono ai necessari controlli medici nonostante il loro cuore sia in sofferenza e questo può limitare la funzionalità del cuore.

Anche i reni possono soffrire a causa del diabete, il che potrebbe essere pericoloso per la funzionalità renale dopo l’operazione.
Spesso sono i vasi piccoli e fini che sono i più colpiti a causa del diabete, il che può aumentare il rischio di talune complicanze (l’ictus per esempio). Il diabete infine può influenzare negativamente la guarigione delle ferite.
Questi rischi vengono rilevati grazie ai vari esami preoperatori, cosicché si possa scegliere meglio la strategia operatoria e adattare la terapia medicamentosa sia in sala operatoria che in cure intensive. Attenzione! I valori di glicemia dopo l’intervento possono variare notevolmente.
Ciò è normalissimo
, si tratta infatti della risposta del corpo a un’aggressione (in questo caso l’operazione). A volte i valori glicemici nella fase postoperatoria sono di difficile controllo: utilizzeremo quindi una infusione continua di insulina, che richiede frequenti controlli della glicemia per evitare sbalzi importanti.

L’obiettivo della terapia è evitare glicemie molto alte o molto basse; solo a partire dal 3° giorno postoperatorio si può mirare a un buon controllo della glicemia.

Si può calcolare il rischio di un’operazione?

Non è possibile calcolare esattamente il rischio individuale.
Esistono metodi statistici che tentano, in base a fattori di rischio (età, sesso, funzionalità cardiaca…), di stimare la probabilità di rischio individuale. Questi metodi vengono utilizzati per calcolare il cosiddetto “score”, che sarebbe la “probabilità di mortalità”.
Quello maggiormente diffuso è l’EUROSCORE.
Non bisogna comunque dimenticare che si parla di una probabilità, non di una previsione.

C’è differenza tra un’operazione in urgenza e un’operazione elettiva?

Sì.
Il rischio dell’urgenza è sempre maggiore
, anche se si tratta dello stesso tipo di operazione.
In primo luogo perché spesso manca il tempo per eseguire gli esami desiderati e per una adeguata preparazione; inoltre una malattia che impone un trattamento urgente è una malattia di fatto differente.

Ma cosa può succedere durante un’operazione al cuore?

Può succedere di tutto!
Le operazioni al cuore sono interventi con un grande potenziale di complicazioni, e queste complicazioni possono risultare letali. Fortunatamente le complicazioni si verificano molto raramente e comunque l’équipe di cardiochirurgia è formata in modo particolare per evitarle e nel caso gestirle.
Come si è già detto, le operazioni al cuore oggigiorno sono sempre più sicure.

Come posso essere sicuro che il team che mi opera è in grado di risolvere i problemi che potrebbero insorgere?

I cardiochirurghi senior del Cardiocentro, l’equipe medica e di sala operatoria e l’equipe di cardioanestesia hanno una vasta esperienza.

Solo al Cardiocentro sono stati eseguiti più di 4000 interventi cardiaci con ottimi risultati.

Le infrastrutture, le dotazioni tecniche e la manutenzione dei macchinari del Cardiocentro sono di altissimo livello, la materio-sorveglianza come anche i processi di qualità sono estremamente curati e in continua evoluzione.

Quanto frequenti sono le infezioni dopo un intervento al cuore? Come si trattano?

Le infezioni dopo un intervento al cuore colpiscono maggiormente la ferita chirurgica (sterno, gamba, braccio). Per lo più si tratta di infezioni leggere e superficiali. Appaiono nella misura del 2-3% dei casi e vengono trattate con gli usuali provvedimenti chirurgici (eventuale riapertura della ferita per una pulizia accurata con posa di un piccolo drenaggio) in combinazione con la somministrazione sistemica di antibiotici. Queste infezioni potrebbero prolungare la degenza in ospedale di qualche giorno e richiedere poi visite ambulatoriali regolari per un certo lasso di tempo. Non si tratta comunque di infezioni pericolose.
Ci sono però anche infezioni più difficili, che coinvolgono i tessuti profondi. Le conseguenze maggiori si verificano quando l’infezione colpisce la ferita della gabbia toracica e da lì si propaga allo sterno. In questi casi (che sono molto rari e riguardano meno dell’1% dei pazienti) la terapia è chirurgica in narcosi, e comporta un lungo trattamento.
Al Cardiocentro sono in corso diversi protocolli, e alcuni di questi anche molto innovativi, per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico. C’è un gruppo interdisciplinare che sorveglia e gestisce i protocolli e la loro osservanza all’interno del Cardiocentro e lavora in stretta collaborazione con il Servizio Qualità e con l’agenzia federale Swissnoso.

Durante o dopo l’operazione mi vengono praticate trasfusioni di sangue?

Non necessariamente.
Per la maggior parte dei pazienti non è necessario ricorrere a trasfusioni. In sala operatoria esistono sistemi per recuperare e riutilizzare il sangue perso dal paziente, e comunque la quantità di sangue perso è generalmente poca (meno di 500ml). Si accettano anche valori di emoglobina relativamente bassi, se ben tollerati dal paziente, e la formazione di sangue proprio viene stimolata con prodotti ricostituenti. Se però il benessere o la vita del paziente sono in pericolo, vengono ovviamente trasfusi prodotti sanguigni (come concentrati di globuli rossi o plasma fresco congelato) seguendo tutte le procedure di sicurezza e tracciamento richieste dal Centro Trasfusionale Cantonale.

Quanto devo rimanere in cure intensive?

Il tempo necessario.
La durata della permanenza in cure intensive dipende dal suo stato di salute prima e dopo l’operazione e dal tipo di operazione.
Di regola vengono previsti 1-2 giorni. I suoi medici decideranno il trasferimento in reparto quando si saranno accertati che la sua situazione è tanto stabile da poter esser ben sorvegliata anche in reparto.
Naturalmente anche in reparto vengono continuamente monitorati i vari parametri, soprattutto quelli cardiocircolatori.
In reparto l’atmosfera è più tranquilla e lei può certamente riprendersi meglio e più velocemente.

Mio padre dev’essere operato al cuore. Potrò andarlo a trovare in cure intensive?

Certo!
Sarà importante sia per lei che per suo padre.

Dopo l’operazione, i medici le daranno informazioni sull’intervento e sul decorso post-operatorio; a quel punto potrà mettersi in contatto con gli infermieri delle cure intensive, per stabilire il momento più idoneo alla prima visita.
Il primo giorno è meglio una visita di breve durata, e in ogni caso il nostro consiglio è quello di limitare le visite in cure intensive solo a famigliari e conoscenti più stretti.
Il paziente non è in grado di sostenere lunghe visite: ci sarà tempo più avanti.
Il senso delle visite in cure intensive è quello di permettere al malato il contatto dall’effetto calmante con i suoi cari e a questi di essere rassicurati sul suo stato di salute.

Cosa succede in cure intensive?

In cure intensive vengono strettamente sorvegliate e sostenute le funzioni vitali del corpo (sistema cardio-circolatorio, polmoni, reni…), il risveglio dalla narcosi, il passaggio dalla respirazione meccanica a quella naturale e viene disposta la migliore terapia in caso di eventuali complicanze.

Per tutto ciò abbiamo a disposizione un personale altamente qualificato e attrezzature complesse.
Una sorveglianza di massimo livello garantita 24 ore su 24.

Ma come potrò andare in bagno se sono in cure intensive?

Non avrà bisogno di andare in bagno.

Durante la narcosi le verrà inserito un catetere vescicale che fa defluire l’urina dalla vescica in un apposito sacchetto.
Potrebbe avvertire di tanto in tanto uno stimolo come se dovesse urinare: è normale, questo stimolo è provocato da un palloncino che viene gonfiato nella vescica per impedire al catetere di sfilarsi.
Lei non deve fare niente, funziona automaticamente.
Durante la narcosi si “addormenta” anche il suo intestino, che riprenderà a lavorare quando lei sarà di nuovo in reparto.
Dovesse succedere ancora in cure intense, non si preoccupi, le infermiere l’aiuteranno.

Cosa sono tutti quei tubi e tubicini che vedo attaccati al corpo di mio marito?

Questi tubicini hanno diverse funzioni.
Alcuni sono cateteri inseriti nei vasi sanguigni (sono quelli più fini) per somministrare infusioni e farmaci e/o per la misurazione continua della pressione arteriosa. Quelli più grossi, invece, sono drenaggi, che aiutano a spurgare secrezioni dalla ferita. Tutti questi tubicini vengono inseriti mentre il paziente è anestetizzato, per cui non sentirà dolore, e verranno progressivamente rimossi durante il decorso verso la guarigione.

Mio marito deve fermarsi in cure intensive un giorno in più. Significa che la sua situazione è molto critica?

La decisione dei medici può avere motivi diversi.
Il più frequente è che i medici preferiscono sorvegliare un giorno in più i parametri vitali di suo marito per accertarsi che tutto proceda bene. A volte si pone la necessità di instaurare delle terapie che per il reparto sarebbero troppo complesse. A volte, invece (e questo purtroppo non è sempre evitabile), manca il posto letto in reparto. In ogni caso, non esiti a chiedere spiegazioni al medico responsabile o a quello in cui pone più fiducia.

Mio padre è stato trasferito dalle cure intensive al reparto. Non è troppo presto?

È una domanda che viene posta spesso. La decisione di trasferire un paziente dalle cure intensive al reparto si basa sulla valutazione di parametri obiettivi: lo stato clinico del malato, il suo decorso fino a quel momento e quello che si stima possa essere il suo decorso fino alla guarigione.

Per quanto possa apparire semplice valutare i parametri obiettivi, a volte può risultare difficile, anche per il medico stesso, prevedere l’evolversi del decorso. Nel dubbio, si opta per una degenza prolungata in cure intensive. A volte, il trasferimento in reparto (per quanto possa sembrare una decisione coraggiosa) è un passo decisivo per la guarigione del paziente.

La medicina non è come la fisica o la chimica, esistono tante zone grigie: le decisioni vengono prese sulla base del sapere e della conoscenza medica, ma anche affidandosi all’esperienza e all’impressione che dà il paziente.

Quali sono gli obiettivi da raggiungere in reparto?

L’obiettivo in reparto è quello di sostenere il paziente affinché riacquisti la sua autonomia e la sua efficienza. Verrà mobilizzato sempre di più, verranno sorvegliate le ferite chirurgiche e verranno trattate le conseguenze dell’operazione.

Come mai le mani e i piedi di mia mamma sono così gonfi?

È una conseguenza diretta, e comunque passeggera, dell’operazione.
Si tratta di liquidi superflui che vengono momentaneamente depositati nei tessuti.
Uno degli obiettivi nella fase post-operatoria è proprio quello di eliminare questi liquidi in eccesso e questo obiettivo in genere si raggiunge nella prima settimana dopo l’intervento.
A volte è necessario qualche giorno in più, ma è comunque una situazione prevista che non deve destare preoccupazione.

I medici ci dicono che mio marito verrà dimesso tra poco. Ma a casa come andranno le cose? E se gli succedesse qualcosa?

La dimissione viene decisa solamente nel momento in cui il paziente ha riacquisito la sua autonomia e si valuta che possa trovarsi bene a casa o in un centro riabilitativo.

Prima della dimissione vengono effettuati degli esami di controllo, proprio per confermare l’idoneità all’uscita dall’ospedale.
È chiaro che il paziente non è pronto a riprendere subito tutte le attività che vorrebbe, ci vuole un po’ di tempo, ma piano piano ci arriva.
È certamente utile se a casa è presente qualcuno che può dare una mano al paziente in quelle attività in cui necessita ancora un po’ di sostegno.
Dovessero insorgere problemi o semplicemente dubbi, è molto importante prendere contatto con i medici che hanno avuto in cura il paziente.
Dopo la dimissione è consigliata una terapia riabilitativa, impostata e sorvegliata da medici cardiologi specialisti, che ha come scopo quello di migliorare la prestazione fisica e la tolleranza allo sforzo del paziente dopo l’intervento.

Cosa dovrò fare dopo la dimissione? Cosa accadrà una volta dimesso?

Alla dimissione, è auspicabile che uno dei suoi cari la accompagni a casa. È vero, ha riacquisito la sua indipendenza, ma è meglio non esagerare e accettare aiuto per lo svolgimento di attività quotidiane come fare la spesa, o il bucato, … Dovesse essere pianificata una riabilitazione per i giorni successivi alla dimissione, dovrà attenersi alle prescrizioni del centro riabilitativo.
Importante: pazienti operati con l’accesso tradizionale (sternotomia) non potranno guidare l’automobile per le 4 settimane successive all’intervento e non dovranno sollevare pesi maggiori di 5 Kg!
Se avesse la sensazione che le sue condizioni di salute non sono soddisfacenti o non sono come lei pensa dovrebbero essere, non esiti a contattare i medici dell’ospedale dove è stato operato.

Quant’è importante la riabilitazione?

La terapia riabilitativa dopo l’operazione è una componente importante del piano di trattamento della sua malattia cardiaca. Durante questa terapia e dunque sotto controllo verrà sempre più sollecitato fisicamente (sport, passeggiate), finché passo dopo passo il suo corpo e il suo cuore non saranno pronti per sforzi maggiori, sempre seguendo un programma controllato. Spesso alla riabilitazione fisica viene integrato un regime alimentare finalizzato a renderla consapevole di come far durare più a lungo il buon risultato dell’operazione, oltre a favorire una eventuale riduzione di peso, se auspicata. Il periodo dopo l’operazione è particolarmente adatto a impostare positivi cambiamenti nello stile di vita, e la terapia riabilitativa rafforza questa tendenza favorevole.

Una riabilitazione può essere anche ambulatoriale o questo potrebbe risultare pericoloso?

La terapia riabilitativa può essere seguita sia come paziente ambulante sia come paziente degente. Entrambe le possibilità presentano vantaggi e svantaggi, ma l’importante è raggiungere l’obiettivo: aumentare la capacità di rendimento e di mobilità come pure – e questo vale soprattutto per i pazienti più giovani – introdurre qualche cambiamento nello stile di vita (alimentazione e gestione dello stress). Ne parli con il suo medico e si faccia consigliare il tipo di riabilitazione è più adatto a lei.

Da cosa si riconosce un “buon” cardiochirurgo?

Difficile rispondere a questa domanda.
Certo ci sono alcuni criteri oggettivi su cui basarsi: la reputazione e il rispetto che gode il chirurgo tra i suoi colleghi (può chiedere al suo medico curante o al cardiologo) e tra il personale infermieristico; il suo curriculum e la sua carriera (informazioni che si ottengono facilmente in Internet).

La cosa più importante rimane però l’impressione che le dà il chirurgo durante il colloquio pre-operatorio. Valuti lei stesso se si sente in buone, sicure mani, se il medico le ha dedicato abbastanza tempo e attenzione e come ha risposto alle sue domande.

Gli chieda pure della sua carriera e lo interroghi su esperienze precedenti. Grado professionale, titoli di studio e pubblicazioni hanno il loro ruolo, ma nulla è importante quanto la sua stessa fiducia e le sue sensazioni per convincersi che il chirurgo è quello giusto per lei.

Cosa significa “mini-invasivo”?

“Mini-invasivo” significa che si esegue un’operazione “aperta” (ovvero in modo tradizionale, incidendo i vari strati di tessuto fino alla sede da trattare) con una tecnica di intervento minimamente lesiva dell’integrità del corpo.

In genere si associa questo termine a ferite decisamente più piccole, “mini-ferite”, ma la minore invasività di un intervento può anche significare, in cardiochirurgia, che si effettua un’operazione non attraverso una “mini-ferita” (e dunque da questo punto di vista in modo convenzionale), senza tuttavia usare la macchina cuore-polmone, cioè senza circolazione extracorporea.

Un esempio di intervento “mini-invasivo” con “mini-ferita” è un’operazione alla valvola tramite una piccola apertura laterale sulla gabbia toracica (la macchina cuore polmone, assolutamente necessaria per questo intervento, si collega praticando un taglietto all’inguine o sotto la clavicola destra).

Per la seconda categoria si può fare l’esempio di un’operazione di bypass aortocoronarico a cuore battente tramite un’apertura dello sterno (sternotomia) convenzionale, senza però l’utilizzo della macchina cuore polmone.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dalla cardiochirurgia mini-invasiva?

I vantaggi di un intervento con una ferita piccola sono la riduzione dei dolori post-operatori e gli indiscutibili vantaggi estetici.

Gli svantaggi sono legati al fatto che si tratta di un’operazione tecnicamente più complessa e spesso di durata maggiore rispetto a un’operazione convenzionale.

In caso di difficoltà riscontrate nel corso dell’operazione può succedere che durante l’intervento si debba cambiare strategia e passare alla tecnica convenzionale.

Mi è stata proposta la partecipazione ad uno studio. Come devo comportarmi?

Gli studi clinici sono la base della conoscenza medica moderna.
I protocolli di studio permettono un confronto scientifico corretto tra nuove e vecchie terapie e tra differenti terapie.
Tutti i protocolli di studio vengono seguiti prima, durante e dopo la loro applicazione da autorità competenti (comitato etico cantonale, www.swissethichs.ch). Se le viene proposto di partecipare a uno studio clinico, ne parli con il suo medico, si assicuri di aver capito bene di cosa si tratta e quali potrebbero essere le conseguenze pratiche per lei. Indipendentemente da quale sarà la sua decisione, riceverà un trattamento adeguato e corretto.

Ho paura del dolore: è vero che dopo un’operazione al cuore si sente tanto male?

Sia l’équipe medica che quella infermieristica si impegneranno al massimo perché lei non debba soffrire.
Grazie a varie efficaci terapie, oggi è possibile attenuare molto il dolore, fino ad eliminarlo.

L’assenza di dolore è nell’interesse di tutti: nel suo, ovviamente, ma anche in quello dell’equipe medica, perché le permetterà un decorso postoperatorio più favorevole, in quanto sentendosi meglio potrà impegnarsi maggiormente negli esercizi di fisioterapia e mobilizzarsi precocemente, evitando le complicazioni (febbre, polmonite) e favorendo tutti i processi di guarigione.
È molto importante che lei comunichi quando e quanto ha male.

Per quantificare il dolore si usa spesso una scala di valutazione da 1 a 10, dove 1 significa quasi indolore e 10 significa dolore straziante. Se il personale medico è ben informato sulla sua sensazione di dolore, riuscirà ad ottimizzare la terapia. È bene infatti trattare il dolore quando comincia a farsi sentire, senza aspettare che diventi troppo forte.

Se non ha trovato risposta alla sua domanda compili il form qui sotto: le risponderemo al più presto. I suoi quesiti sono una risorsa per tutti i pazienti






     
     


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